Sono testimoni di un‘epoca/ stagione vissuta da consiglieri al fianco di una Giunta che si è propagandata come "sorgente di cambiamento". Anche gli ex consiglieri Nina Lo Presti e Lugi Sturniolo si sono dissetati per un certo periodo da questa sorgente credendo di poter mantenere nelle loro corde quello spirito di autonomia e trasparenza professato dallo schieramento in questione lasciano intendere. Adesso rientrano da quella cancellata della casa municipale non più da protagonisti che si sono mossi da sempre nella politica ma da relatori di una interpretazione di politica in cui alla fine non si sono più riconosciuti. Adesso, i due che hanno condiviso le scelte di allontanamento dal primo cittadino Renato Accorinti espongono i motivi e le verità nelle modalità in cui le hanno vissute durante il loro mandato.

Presenteranno domani pomeriggio un libro-racconto su “Accorinti e i sindaci icona”, "Assolto per non aver compreso il fatto", edito da Armando Siciliano e dicono: “Tanti percorsi, individuali e collettivi, si sono incontrati, hanno pensato di essere diventati adulti, di essere capaci di cambiare le cose. Era questo il progetto di Accorinti Sindaco”. Nella sua biografia, la biografia di tutti, nella sua scommessa la scommessa di tutti”. Eppure tutti questi buoni propositi non hanno impedito loro di assistere lo stesso come scrivono a “Bilanci taroccati, servizi essenziali erogati più per garantire le clientele maturate nel tempo che per soddisfare i bisogni dei cittadini, un territorio che vanta una presunta vocazione turistica ma le cui risorse naturali e il paesaggio sono stati mortificati dalla cementificazione selvaggia (ma coordinata e continuativa). Ancora “strade invase dal passaggio dei Tir, un’assenza cronica di infrastrutture nonostante la produzione bulimica di progetti mai realizzati, quartieri disgraziati sui quali si staglia pesante l’ombra del fallimento di uno Stato assente, bisogni crescenti per una popolazione impoverita e sempre più vecchia, in un contesto in cui l'utilizzo delle risorse pubbliche è soprattutto una questione morale”. “In un solo periodo questa è la Messina che abbiamo conosciuto e promesso di cambiare. Contro questo sistema politico, amministrativo ed economico intriso di malaffare si è schierata la nostra biografia. “Cambiamo Messina dal Basso” voleva essere un atto di fiducia nella cultura partecipativa, significava scommettere sul fatto che questo avrebbe comportato scelte politiche coerenti e, soprattutto, che queste sarebbero state più efficienti, oltre che più oneste ed eque. Non si trattava, semplicemente, di lasciarsi attraversare dalle istanze sociali (ché, in questo, l’alto è più forte del basso), quanto, piuttosto, creare i presupposti partecipativi affinché il basso potesse contare, avere il potere di decidere sul proprio futuro".

"In realtà, l’avanzata del populismo può oggi fare brutti scherzi - proseguono Lo Presti e Sturniolo - e consentire affermazioni elettorali clamorose anche a movimenti che affondano le proprie radici nelle lotte sociali e nelle esperienze partecipative di base, ma che non hanno alcuna idea di come affrontare la complessità di una città. Queste esperienze esauriscono rapidamente la spinta del favore popolare e vengono facilmente recuperate dalle procedure e dai professionisti della politica. Il caso di Messina ci dice come sia possibile che una amministrazione a composizione fortemente elitaria, del tutto convenzionale per quanto riguarda le politiche finanziarie, che non ha assunto alcuna iniziativa di carattere innovativo in merito al patrimonio pubblico, che ha sconfessato le battaglie di tanti attivisti sui beni comuni, che non ha attivato alcuna forma partecipativa concreta, che ha affrontato in maniera vergognosa la questione dell’accoglienza dei migranti, possa essere raccontata, in alcuni frangenti, come una “città ribelle”. Questa storia abbiamo deciso di raccontarla perché pensiamo che raccontare questa storia possa servire a leggere meglio il presente. Non già perché non crediamo nella valenza innovativa delle anomalie, ma perché vogliamo delle anomalie felici, vogliamo evitare che esse, manifestandosi come affermazione dei numeri uno dei sindaci icona che, fatalmente, si infrangono contro il muro della durezza amministrativa, siano strumento ulteriore della compressione della politica, della partecipazione. Questa storia abbiamo deciso di raccontarla perché soltanto indagando nel dettaglio un esperimento si può uscire dall’enunciato, dal luogo comune, dalla presa di posizione ideologica. Per questa ragione abbiamo studiato il percorso normativo che consente ai Comuni di galleggiare sui debiti e imprimere politiche di austerità che non portano alcun vantaggio ai cittadini, abbiamo analizzato tutti i creditori del Comune di Messina e il modo in cui il debito si è formato per dimostrare che non è vero che “tutti abbiamo vissuto al di sopra delle proprie possibilità, ma che solo alcuni l’hanno fatto e adesso tutti ne stanno pagando lo scotto, abbiamo confrontato il piano di rientro dal debito di Messina con quello di altre città importanti (Roma, Napoli, Catania, Parma) per dimostrare che un filo comune li regge. Abbiamo capito, infine, che la disputa fra una cognizione accademica “neutrale” e una profetico-messianica “destabilizzante” può sembrare una competizione tra paradigmi rivali che si escludono a vicenda, ma che i due approcci nella realtà sono in grado, invece, di coesistere l’uno accanto all’altro, al punto che scienza e religione possono mescolarsi e realizzare quello che viene raccontato come “uno spazio nuovo in un tempo nuovo”. Entrambi riassumono l’essenza di un’impostura che smarrisce le proprie origini nella speranza sociale e si proietta interamente in un altro mondo.