Un’indagine inedita, quella condotta dal commissariato di Sant’Agata di Militello in collaborazione con la Questura di Messina che ha portato all’esecuzione di 33 misure cautelari e un totale di 50 persone indagate nell’ambito dell’operazione denominata ''Gamma Interferon''. Un campo semi sconosciuto quello in cui hanno operato gli agenti: sulla loro strada si sono presentati due associazioni a delinquere finalizzate alla macellazione clandestina, traffico di farmaci, messa in commercio di alimenti cancerogeni e sprovvisti di controlli sanitari che si uniscono ai reati di truffa e falso atto pubblico commessi dai complici presenti nelle istituzioni in una catena del malaffare che coinvolgeva allevatori, macellerie e veterinari dell’Asp di Sant’Agata di Militello e che potrebbe allargarsi ad ulteriori figure politico-istituzionali come il sindaco di Floresta Sebastiano Marzullo e il sostituto commissario Saporito di Tortorici, i cui nomi compaiono nel registro degli indagati.

Qui l'elenco completo dei nomi coinvolti. 

Smentiti eventuali collegamenti con la mafia dei pascoli e le intimidazioni ricevute dal Presidente del Parco dei Nebrodi Antoci, l’inchiesta autonoma del commissariato di polizia di Sant’Agata parte dall’analisi dei numerosi casi di denuncia di sparizioni e sottrazioni di bovini e quindi al reato dell’abigeato, una pratica appartenente al mondo dell’illegalità di quaranta anni fa.

L’origine del nome dell’operazione. Esistono due vie per evidenziare se un animale è affetto da tubercolosi. La prima è l’Intradermoreazione che consiste nell’iniettare una sostanza che genera una reazione a livello epidermico, precisamente se la cute gonfia l’animale ha la tubercolosi, se non gonfia non ce l’ha. Questa è una tecnica utilizzata da tutti i veterinari, compresi quelli coinvolti nell’inchiesta. Il Gamma Interferon invece prevede, post analisi sanguigna, una reazione in laboratorio e ha un margine di errore prossimo allo 0. Questa è stata la tecnica utilizzata dagli agenti per confutare la validità dei controlli realizzati dai veterinari dell’Asp negli allevamenti del nebroideo.

La polizia infatti ha esaminato con Gamma interferon alcuni allevamenti vagliati una settimana prima dai veterinari ottenendo risultati che bocciavano come infetti gli stessi animali promossi dai “finti controllori”. La procura di Patti a quel punto, per accertare i fatti, dispone degli accertamenti reperibili sugli stessi allevamenti affinché a distanza di tre mesi vengano ripetuti gli accertamenti sia con il Gamma Interferon sia con Intradermoreazione, la tecnica impiegata dai medici nel primo controllo. Entrambi danno esito positivo, segnalando la tubercolosi: questo significava che i veterinari non avevano esaminato o lo avevano fatto erroneamente. Per approfondire la questione gli agenti hanno successivamente analizzato la carcassa degli animali al macello e proprio lì la prova scientifica ha rilevato che la malattia era presente da ben tre anni accertando così la falsificazione dell’originale verifica condotta, si fa per dire, dai responsabili dell’Asp.

Gli step in sintesi:

1) Prima analisi fatta dai veterinari: negativo il controllo dell’intradermoreazione, le carni non sarebbero infette.

2) A distanza di tre mesi gli agenti provano con tecnica Intradermoreazione e Gamma Interferon: gli esiti sono positivi. Sospetto che la tubercolosi sia stata contratta negli ultimi tre mesi.

3) Analisi delle carcasse al macello. Viene scientificamente provato che la malattia era presente da 3 anni. Il report di verifica stilato dai veterinari era falso.

Dai controlli a campione effettuati successivamente è emerso che 9 allevamenti su 10 erano infetti, gli stessi centri dove i veterinari non avevano riscontrato l’esistenza di casi di tubercolosi. Erano quindi state falsamente attribuite delle qualifiche di ufficialmente indenni agli allevamenti.

Il ruolo dei veterinari. I responsabili dell’Asp non si recavano personalmente negli allevamenti da esaminare ma elaboravano gli esiti dei loro “controlli” a tavolino. A testimoniarlo la insolite ripetizioni, riscontrate dagli agenti, dei medesimi standard di pressione della cute in tutti i casi “esaminati”. Un animale per essere identificato inoltre ha bisogno di un bolo endoruminale, un microchip che viene sparato nell’intestino, e del marchio auricolare. Quest’ultimo è facilmente asportabile, il primo no. Negli allevamenti analizzati il bolo non c’era perché non era mai stato immesso grazie alla complicità dei veterinari. Gli animali così erano privi di identificazione e potevano essere macellati clandestinamente e sostituiti senza affanno con altri esemplari rubati e spacciati per gli originali grazie a false certificazioni. Cosa ci guadagnavano? I veterinari così facendo raggiungevano gli obbiettivi professionali e ricevevano i benefit a fine anno legati al premio di produzione.

Le macellerie “ufficiali” coinvolte sono circa una decina ma tutti gli allevatori svolgevano il ruolo di macellai clandestini. Le macellerie acquistavano la carne infetta ad un prezzo inferiore: L’allevatore in possesso di un animale affetto da tubercolosi lo macellava al nero per poi venderlo alla metà dei costi alla macelleria, che infine lo introduceva nel mercato ufficiale al normale prezzo di una sanissima carne di qualità.

Carne cancerogena sulla nostra tavola. Negli allevamenti la polizia ha scoperto casi in cui vi erano animali destinatari dell’Evomec, un antiparassitario che uccide la mosca che infetta, rendendo più bella e appetibile la carne. Il problema è che questo forte antiparasssitario ha un tempo di smaltimento elevato, di 150 giorni. Se l’animale è macinato clandestinamente, questo viene immesso nel mercato prematuramente, quando ancora la sostanza non è stata smaltita, e raggiunge le notre sale da pranzo dove noi difatti gustiamo carne divenuta altamente cancerogena. Sono stati riscontrati casi di questo genere anche in allevamento di tipo ovicaprino, dove l’impiego dell’Evomec ha reso non sani anche latte e derivati.

Suino nero. Specie protetta ospite del Parco dei Nebrodi, il 90% degli esemplari di Suino Nero è affetta da tubercolosi. Questo animale non viene identificato con microchip ma solo con il marchio, fatto che ha agevolato le associazioni criminali, le quali senza difficoltà marchiavano le prede catturate, prendendone possesso illegalmente. I suini venivano messi in gabbioni, portati in allevamento e macellati. Ne derivavano salumi e carni messe immediatamente in commercio.

Focolai di tubercolosi, il messinese è il centro di diffusione. Principale destinazione del commercio dei bovini infetti è la Calabria, in particolare l’area della Locride, tradizionalmente legata nell’abito mafioso alla criminalità tortoriciana. Gli animali infetti venivano trasportati in alcuni macelli. Tenendo conto della cartina delle infezioni di tubercolosi in Italia, su 400 casi nazionali, 100 sono in provincia di Messina e il resto dei focolai corrisponde ai luoghi in cui gli allevatori coinvolti nell’inchiesta macellavano. Perché? Gli animali trasportati erano tutti infetti.

 Paologiorgio Vinci